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ARTICOLO 18: LA MONTAGNA E IL TOPOLINO

Tutta la discussione sull’articolo 18, avvenuta negli ultimi mesi, dico la verità, non mi ha mai minimamente appassionato. Da troppi anni sono abituato ad ascoltare, attorno alla questione, due opposte tifoserie che, nei loro opposti “estremismi” , non han fatto altro che contribuire a rendere la norma molto più importante e impegnativa di quanto non lo sia in sé. L’articolo 18, da qualsiasi punto di vista lo si guardi, è innegabile che sia diventato un simbolo.

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Per il sindacato, l’ho già scritto diverse volte, è l’ultimo baluardo da difendere dopo che negli anni si è lasciato legiferare, nel silenzio o quasi, tutta una serie di norme che hanno reso il lavoro italiano quanto di più precario ci sia al mondo. Intendiamoci bene: io non do la colpa al sindacato per queste norme; so bene che i responsabili primi sono i diversi governi che le hanno emanate, nei quali, tra l’altro, spesso la sinistra era presente. Però, certamente, da parte del sindacato non ho visto quella necessaria opposizione che invece si riscontra sempre ogni qualvolta si parli di articolo 18.

Per le aziende rappresenta il terrore, pur di non affrontarlo assumono nel modo meno efficace, per loro, possibile. Fatta questa doverosa premessa, ovviamente per motivi professionali, mi sono dovuto occupare delle nuove norme emanate e dell’ultimo decreto attuativo del Jobs Act che, regolando il nuovo contratto a tutele crescenti, modifica contemporaneamente alcune norme che regolano la risoluzione del rapporto di lavoro. Purtroppo la prima considerazione che mi vien da fare è quella di dar ragione a Sacconi (e giuro che piuttosto di farlo…) che all’indomani dell’uscita del decreto ha affermato: “La montagna ha partorito un topolino”.

Già le premesse della discussione politica lasciavano presagire nulla di buono. I motivi di scontro vertevano prevalentemente attorno alla possibilità, prevista dall’articolo 18, e che il governo voleva abolire, di essere reintegrati al lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Ora, dovete sapere, che solo una percentuale vicina all’1% dei lavoratori che viene licenziata e che impugna il licenziamento, al termine del sempre lunghissimo contenzioso, sceglie il reintegro nel posto di lavoro; mentre il 99% sceglie l’alternativa dell’indennizzo. In quell’1% ci sono anche alcuni casi eclatanti, come gli operai della Fiat di Termini Imerese ingiustamente licenziati perché iscritti alla Fiom, ma, seppur eclatanti, rientrano in questo miserissimo 1% dei casi. L’aver tolto quindi dalla norma, come è avvenuto, per i soli nuovi contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, la possibilità di chiedere, in caso di licenziamento illegittimo, il reintegro nel posto di lavoro, limitando il risarcimento ad un indennizzo economico, non mi pare che meritasse tutto lo spreco di parole, e azioni, alle quali abbiamo assistito in questi mesi. (Poi c’è anche l’introduzione di una semplificazione dei licenziamenti collettivi, ma, credetemi, si tratta di una semplificazione puramente burocratica, perché chi voleva licenziare collettivamente lo faceva prima e continuerà a farlo adesso, indipendentemente dall’iter complicato o meno) Ben diverso sarebbe stato se il governo avesse lavorato, cercando un accordo con il sindacato, affinché si stipulasse un vero e proprio “accordo sul lavoro”, nel quale si mettesse sul tavolo da una parte la semplificazione massima delle norme che regolano la risoluzione del rapporto di lavoro e, dall’altra, l’abolizione di tutte le forme di precarizzazione del lavoro che sono spuntate come funghi negli ultimi vent’anni. Con arroganza e supponenza questo governo non ha addirittura preso in esame la possibilità di confrontarsi col sindacato, rendendo di fatto impossibile qualsiasi ipotesi di intesa. Al di là di quel che pensa e dice in TV quell’oca dell’On. Picerno, nessuna forma di lavoro precario è stata soppressa dalle nuove norme e questo, di fronte alla legiferazione del nuovo contratto a tutele crescenti, che offre alle aziende un contributo annuo di 8.060 euro, per un massimo di tre anni, per chi assume a tempo indeterminato, è davvero uno scandalo. Ovviamente le aziende che sceglieranno di assumere con questa nuova norma non lo faranno certo per l’eliminazione della possibilità di reintegro in caso di licenziamento illegittimo! Lo faranno per gli sproporzionati e scriteriati benefici concessi dal governo (e che tutti quanti noi molto presto saremo chiamati a pagare). Ma su questo argomento ho già scritto nel precedente commento e non voglio dilungarmi oltre. Il problema è che il licenziamento di un lavoratore resta legiferato in modo che qualsiasi provvedimento adottato sarà impugnato dal sindacato e per le aziende e i lavoratori inizierà un iter giudiziario infinito, nel quale gli unici a sguazzarci allegramente saranno gli avvocati di parte. Per le aziende resterà un costo spropositato e un incognita che continuerà a rendere le assunzioni a tempo indeterminato, appena finiti gli incentivi, un tabù dal quale tentare in tutti i modi di fuggire. Lo ripeto quindi, pur avendolo scritto già diverse volte, io sono convinto che solo una semplificazione estrema delle norme che regolano il licenziamento possa essere utile a favorire l’assunzione di personale con contratto a tempo indeterminato. Mi sono convinto di questo, in tanti anni di professione, perché supportato ,non solo dall’esperienza che mi ha fatto incontrare tante aziende che di fronte allo spauracchio dell’art.18 ne han fatte di tutti i colori piuttosto che…, ma anche perché sono convinto di due cose: – la prima è che una impresa deve essere libera di assumere, ma anche di licenziare. Così come si è liberi di acquistare una casa e poi venderla, o, per essere meno impersonali, di affittarne una e poi decidere, col dovuto preavviso, di riprenderla per usi personali. Se questi principi non vengono salvaguardati, si ottiene il risultato opposto rispetto a quello desiderato. Così come non si affittano case, non si offre lavoro. – Visto che con la prima mi darete del liberista destroso , aggiungo la seconda convinzione. La tutela eccessiva e indiscriminata di tutti i lavoratori, da parte delle norme e del sindacato che le ha applicate all’eccesso, ha creato una situazione tale in cui un lavoratore onesto, che fa il proprio dovere, che non si ammala tutti i lunedì, che ritiene l’impegno e la dedizione una priorità, si considera un coglione rispetto al lavoratore lavativo, che fa invece l’esatto contrario, e che puntualmente viene tutelato al pari, se non di più, del lavoratore onesto. Per questo è indispensabile che entrambe le parti, imprenditori e lavoratori, tornino a pensare al lavoro come una cosa seria, vitale, prioritaria per la vita di ciascuno, che deve essere salvaguardata soprattutto dai propri comportamenti e dall’osservanza dei propri doveri, prima ancora dei propri diritti. Io dico che uno, educato da un esempio di lavoratore “comunista”, non può e non deve aver paura di perdere il posto di lavoro. Se questo avviene perché il lavoratore incontra un imprenditore che non capisce niente, tranquilli, questo trova da lavorare alla svelta da un’altra parte. Questo penso. E lo penso anche in un momento di gravissima crisi, come quello che stiamo attraversando, in cui è assolutamente indispensabile fare in modo, prima di tutto, di creare posti di lavoro. Per andare in questa direzione si potevano quindi, perlomeno, fare alcune cose: – Abolire tutte le forme di lavoro atipico. Tutte. – Incentivare il contratto a tempo indeterminato con sgravi contributivi crescenti, ma in misura decisamente socialmente più sopportabili rispetto a quelli attuali, rendendola L’UNICA tipologia di lavoro subordinato esistente. – Divieto di licenziamento per i soli casi di discriminazione – Allungamento dei termini di preavviso per le categorie più deboli (leggasi operai) – Estendere e uniformare gli ammortizzatori sociali rendendoli percepibili in tempi rapidi (oggi per prendere la cassa integrazione in deroga o l’aspi si impiegano mesi e mesi, sempre che si riescano a percepire), ma anche toglierli appena un lavoratore rifiuti un impiego (a tal proposito vi informo che una delle domande più frequenti a cui sono costretto a rispondere è: “come faccio a non perdere la disoccupazione adesso che mi hanno offerto un posto di lavoro?”) – Obbligo al rispetto dei minimi contrattuali per tutte le tipologie di aziende, cooperative comprese. Questo se si vuole iniziare a discutere seriamente per tentare di risolvere qualcosa. Il resto sono chiacchiere. Chiacchiere e distintivo.

 

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